DISABILI IN OSPEDALE
Voglio partire da una storia molto comune “ Una famiglia ha al suo interno una persona disabile grave e non collaborativa, con scarso linguaggio e attenzione minima. La famiglia ha attivato tutti i servizi presenti sul territorio di riferimento. La persona non è considerata una ammalata dalla famiglia e dal suo contesto di riferimento ma solo portatrice di esigenze particolari. Procede tutto nella quotidianità, già di per sé difficile, fino al giorno in cui la persona disabile ha bisogno di andare in ospedale per un ricovero, per una radiografia, una visita oculistica, un problema ai denti, comunque un’indagine per cui c’è necessità della sua collaborazione. A questo punto spesso la famiglia va in tilt perché gli ospedali non sono attrezzati per queste evenienze. Ma perché è così difficile?
- Le persone disabili gravi non producono per cui oltre ai servizi minimi non devono pretendere altro;
- E’ difficile e dispendioso attrezzare uno spazio a misura di disabile ma queste persone devono poter accedere ai servizi di tutti;
Come spesso accade è necessario un capovolgimento di prospettiva, che presuppone una cultura della disabilità, che è difficile da far passare in tutte le sue sfaccettature. L’ospedale è di per sé una struttura rigida come tutte le strutture grandi, complesse e per questo poco propense e al cambiamento a meno che non si crei la disponibilità di medici e di amministratori che con volontà e senso del dovere inizino un cambiamento dall’interno. Al momento attuale l’ospedale non si adatta al paziente che “ deve andare” in ospedale, rispettare gli orari, essere visitato in spazi magari non attrezzati e se non si adatta alle persone normodotate a maggior ragione non lo fa per quelle con problemi di disabilità grave. Il punto nodale è la comunicazione con la famiglia. Quando una persona disabile grave e non collaborativa entra in ospedale la presa in carico non deve essere solo della persona e della sua malattia, ma anche del disagio dovuto al cambiamento di abitudini, di situazioni, si può dire tranquillamente che la presa in carico deve essere della famiglia. La degenza di persone disabili gravi e non collaborative esige una logistica diversa, possono essere spazi predisposti, senza barriere, stanze a 2 letti perché è indispensabile la presenza del genitore, magari con l’aiuto di un facilitatore, soprattutto in momenti molto turbativi e di notte, orari di visita prolungati, ecc. Fin dall’accettazione, proprio perché i fruitori sono persone con abilità minime, è necessario avere un giusto approccio nella comunicazione, capire il grado di autonomia evitando di chiedere loro ad esempio cose che non riescono a comprendere e\o ad eseguire, ciò vale anche per azioni come prendersi cura del proprio corpo. Dal versante strettamente medico una persona con grave disabilità e non collaborativa non è in grado di eseguire i comandi del professionista durante un esame diagnostico anche semplice, figuriamoci una TAC o una risonanza. L’èquipe medico\infermieristica che si ritiene utile dovrebbe essere la più ampia possibile comprendente sicuramente l’anestesista, il fisiatra, ma anche altri professionisti che potranno interagire all’occorrenza. Ciò che è importante è che l’èquipe dovrà essere un organismo riconosciuto dalla dirigenza, permanente, indispensabile e non un gruppo di professionisti, che se pur con grande professionalità, operano volontariamente e magari non in pianta stabile. In alcune zone d’Italia gli ospedali hanno predisposto un’èquipe medico\infermieristica dedicata solo alle persone con disabilità che segue la persona dall’entrata all’uscita. E’ il Progetto DAMA (Disabled Advanced Medical Assistance) nato alcuni anni fa all'Ospedale San Paolo di Milano dalle istanze di famiglie di persone disabili che avvertivano nel quotidiano la difficoltà della struttura ospedaliera a garantire loro un'assistenza sanitaria pari a quella delle altre persone.
Partendo da una difficoltà sulla comunicazione è stato pensato e realizzato un modello di accoglienza e di assistenza medica al disabile grave dedicato in modo particolare alle persone che presentano gravi problemi di comunicazione, vuoi per carenze di strumenti comunicativi vuoi per deficit ideativi.
L'esperienza ha sperimentato che l'ostacolo principale era, su tutti i versanti, quello culturale, per cui si è costruita una equipe dedicata, costituita da medici con competenze specialistiche multidisciplinari che consentono di affrontare anche l'età pediatrica. Il Progetto DAMA, al termine del triennio di sperimentazione, è ora una Unità Dipartimentale nell'ambito della Direzione Sanitaria e funzionalmente nel Dipartimento di Emergenza e Urgenza, quindi un Servizio Ospedaliero dedicato, con un proprio organico e proprie risorse. Ha preso in carico, nei cinque anni dall'inizio della sua attività più di 2000 pazienti disabili gravi provenienti dal territorio della città di Milano, della provincia e della regione Lombardia, diventando un punto di riferimento anche per altre realtà socio-assistenziali nel territorio. Questo è solo un esempio al quale si potrebbe guardare per strutturare un ospedale a misura di disabile.