LUCANI IN TAVOLA di BIAGIO CAPPA e UGO ALBANO

27.08.2015 18:39

Di seguito la relazione fatta da me alla presentazione del libro di Biagio Cappa e Ugo Albano "Lucani in tavola. La cucina popolare di Basilicata"

L’idea del libro  LUCANI IN TAVOLA è venuta in mente ai due autori proprio dopo aver assaporato un piatto tipico della tradizione lucana cucinato da uno dei due. Infatti gli autori sono amanti  della cucina tradizionale e se la cavano bene anche tra i fornelli...hanno imparato osservando le madri e\o comunque le donne che cucinavano i piatti tradizionali. Il libro è diviso in due parti la prima ha un carattere antropologico sociale,  la seconda è una raccolta di ricette tipiche ed antiche ricercate e riprese da vari paesi Tolve dove Biagio ha trascorso l’infanzia, Potenza città natale di Ugo ma anche Ruvo, Tito, Pietragalla ecc.

Il cammino fatto dall’uomo e dalla donna per sopravvivere fin dalla notte dei tempi è stato molto lungo e pericoloso, all’inizio l’uomo caccia per mangiare  ma anche per sopravvivere all’assalto delle bestie feroci, oppure si sfama con ghiande senza pensare al dopo. Il periodo stanziale inizia allorchè l’uomo comprende che la natura si può in parte dominare, che si possono conservare e riutilizzare i semi o allevare gli animali. 

Dai villaggi sorti per questioni di spazio si arriva nel tempo alla famiglia contadina come ce la ricordiamo ancora. La famiglia contadina, a seconda se inserita in un podere padronale a mezzadria o se proprietaria dell’appezzamento, generalmente si sviluppa come una vera e propria realtà autarchica a ruoli ben prestabiliti. 

L’uomo è il capo ma la donna gestisce la casa, i bambini, gli anziani, è una comunità chiusa ma autosufficiente e i proventi del raccolto e il salario servono a far vivere il nucleo per tutto l’anno. E se tante famiglie contadine vivono vicine tra loro si possono ottimizzare le risorse e si può scambiare con gli altri...ciò che non si produce e così tra ortaggi coltivati in proprio, animali da latte e da carne e il mitico maiale “di cui non si spreca nulla” la famiglia è autonoma e il salario viene destinato a comprare scarpe,  vestiti, ecc che devono durare molto tempo. Si crea tra i vicini una certa familiarità che può andare dal mettersi insieme per fare il lavoro dei campi, alle donne che si aiutano reciprocamente nelle faccende .... e poi nei giorni di festa si  cucina e mangia insieme. 

Negli anni 50 in Basilicata inizia una grande immigrazione verso il nord, più industrializzato, ma anche oltre oceano. L’industrializzazione sgretolò man mano il solido mondo contadino fatto di tempi precisi e cadenzati, semina, raccolto, utilizzo dei proventi, conservazione della maggior parte di questi e innescò quel meccanismo perverso dell’offerta che stimola e precede la domanda. 

Nella Basilicata fatta di tanti piccoli paesini anche abbastanza lontani tra loro, il cambiamento fu più lento, infatti per ancora tanto tempo i paesini restarono “autarchici” cioè autonomi nella loro sopravvivenza quasi come un’unica comunità che autoproduceva, si aiutava e cercava di resistere al cambiamento. 

Nel 1980 dopo il terremoto nella regione spuntarono tante fabbriche che ora sono penosamente chiuse, (tranne la FIAT o alcune altre), si spesero risorse economiche che potevano essere usate per incoraggiare ed incentivare l’agro alimentare ed il turismo che è strettamente collegato in una regione che fino al giorno prima era vissuta di agricoltura..  

Il cambiamento però fu anche sociale  infatti gli spostamenti delle famiglie hanno creato anche una frattura nel sistema sociale dei paesi soprattutto dal punto di vista della coesione e assistenza reciproca. 

Oggi la regione è ancora una volta imbrigliata in strade contrapposte...se dare credito ad uno sviluppo turistico e a piccole imprese agricole .o continuare ad aprire pozzi di petrolio col rischio di rovinare ancora una volta il paesaggio, i prodotti ecc.. 

Nella regione ci sono ormai zone famose come il Pollino, Matera, Maratea,  ma un pò dappertutto sono nate tante aziende piccole e grandi dove si possono assaggiare i piatti tipici e anche i vini, le più grandi vendono anche i prodotti negli alimentari. A Grumento hanno reinventato il “vino medievale” che è forte quasi come un liquore ed anche una pasta fatta solo dei grani poveri..Alcuni di questi agriturismi sono anche delle fattorie didattiche:dove si fa sperimentare ai  bambini e ai  ragazzi di oggi a governare i piccoli animali, conigli, galline, raccogliere le uova, andare sull’asino..!...Cose che i figli dei contadini facevano normalmente e non era insolito che aiutassero a fare la  salsa, e perfino a raccogliere il sangue dopo l’uccisione del maiale. Al giorno d’oggi trascorrere insieme ai propri figli una giornata in una fattoria a fare la pasta in casa, o le mozzarelle sarebbe importante per non disperdere le tradizioni, e certamente si incontreranno persone con la stessa passione...

Dall’agriturismo alle sagre il passo è breve ...E cosa sono le sagre se non  una versione moderna di quando i contadini  si riunivano nell’aia o in cortile per assaggiare un prodotto tipico del luogo. E se a Senise ci sono i peperoni, a Moliterno il canestrato a Avigliano il baccalà...a lungo andare si sono create delle nicchie di prodotti tipici da far conoscere e da vendere a volte anche con il marchio DOP.

Un tratto che non è andato del tutto perso è la funzione dei mercati o fiere quasi sempre legate alle festività del patrono..Se pensiamo ai mercati nei paesi o per es al mercato di Verderuolo a Pz  troviamo tanti contadini che portano a vendere la merce che hanno raccolto nei campi..., il miele e la pappa reale delle proprie api, i fichi intrecciati... o il pecorino di Filiano! Fare la spesa dell’orto frutta nei mercati o dagli ambulanti serve a far rimanere nella regione il ricavato, far sopravvivere il rapporto di fiducia che si istaura tra il venditore e chi compra.

 

La seconda parte del libro è una raccolta di ricette antiche ricercate in vari paesi della Basilicata Tolve, Potenza , Ruvo, Tito, Pietragalla... Le ricette per comodità sono suddivise in primi, secondi, dolci, conserve. Tramandare la tradizione culinaria lucana è come mantenere salde le radici di ciascuno ma è anche una provocazione a reimparare i canoni della cucina delle nonne. 

Le ricette lucane contadine nascono con l’esigenza di dover combattere la fame e il freddo. Il contadino e la contadina che passavano le giornate in campagna, a zappare a badare agli animali consumavano molte calorie, e potevano perciò permettersi di mangiare a cibi abbastanza grass, come anche bere più di qualche bicchiere di vino rosso. Agli adulti di oggi non serve tutto questo cibo visto che il lavoro è quasi sempre sedentario . 

Nella cucina lucana contadina non c’era una vera e propria distinzione tra primi e secondi, tanti sono i piatti unici, dove si usava e si usa il pane, che si faceva in casa, la verdura, che si coltivava nell’orto e per dare un tocco saporito la salsiccia che tutti avevano a casa. I pastori che andavano via per mesi da casa dovevano mangiare e sfruttavano quello che avevano a disposizione cioè il pane magari con un uovo o i formaggi e soprattutto ricotta, mozzarelle e la toma che si potevano fare in pochissimo tempo...!. 

I secondi avevano come ingrediente principale la carne...magari non il vitellino...ma soffritto, trippa, cutturiedd,...come pesce il baccalà che è appunto il pesce di chi abita in montagna anche questo con cipolla e sugo...! 

Quando il periodo era proprio scarso c’era la ciambotta che altro non è che un misto di tante verdure...e un pò di pomodoro... e le mamme che erano anche brave cuoche aggiungendo un pò di olio, un peperoncino e qualche aroma combinavano una pietanza ottima,  oppure c’era la strada della frittura che rende gustosa qualunque pietanza...e da l’idea di sazietà anche se la materia prima è un pò scarsa...! 

Nella ricerche  fatte per mettere insieme le ricette si può costatatare che la stessa pietanza si cucina diversamente nel Vulture, a Potenza o nella zona di Pietragalla... In ogni famiglia si ammazzava il maiale .ed era proprio un rito ed una festa collettiva che si concludeva con l’assaggio della carne da insaccare (chiamato sfrisciudd) e quindi tantissimi sono i piatti che prevedono cotica, salsiccia, gnumritiedd, tumacelle..I ragazzi di oggi non riescono a mangiare alcune di queste pietanze, soprattutto quelle di frattaglie,  ma anche le capuzzelle che sembra un piatto “cruento” al loro palato abituato ai prodotti light questi sapori “antichi” sembrano molto speziati e pesanti, e di conseguenza non imparano neanche a prepararli  perdendo così una tradizione lunga e importante. 

Quando le famiglie si trasferivano nelle città più grandi  cercavano di tenere strette le usanze del paese o della zona rurale da cui  provenivano. A Potenza dove tanta gente è confluita dai  paesini, si cucina ancora alla maniera di Avigliano o Tolve o Ruvo  si è cercato in mille modi di non perdere la propria identità,  le tradizioni culinarie legate anche ai periodi religiosi.... Le donne che ora hanno più di 80 anni hanno cercato anche nel condominio o nel quartiere la vicinanza e la solidarietà proprie del mondo contadino..e del paese, la salsa fatta sul porticato di questa o di quell’altra vicina, l’aiuto a riempire le salsicce e assaggiarle reciprocamente. 

Per anni le famiglie anche in città hanno fatto le famose “bottiglie” di salsa anche se ormai il mercato ne offre in grande quantità...La fatica di comprare i pomodori, lavarli, passarli, imbottigliarli, ecc era un modo per mantenere ferme le proprie origini, le proprie abitudini... come anche tenere un piccola vigna e fare il vino da utilizzare nei momenti importanti che erano spesso i matrimoni o ancora tenere un piccolo orto dove coltivare pomodori , insalata, aglio o erbe aromatiche....E chi non ha nemmeno un pò di terra cerca di coltivare come può sul terrazzo nei vasi...!.

All’epoca delle nostre nonne (ma anche molte mamme ancora lo fanno) cucinare era un’azione quasi sacra soprattutto se c’erano a pranzo invitati parenti amici ed era ed è strabiliante come queste donne sappiano cucinare per 20 e più persone...senza timore di sbagliare...

La domenica si mangiava e si mangia ancora la pasta, orecchiette, fusilli fatti a casa col sugo e con l’immancabile “pezzente” o con gli involtini.... La salsa è usata in gran quantità è quella fatta a casa ma dava l’illusione di saziarsi perchè non si lascia nel piatto ma si raccoglie accuratamente col pane.. 

Parlando dei dolci molti sono legati alla stagionalità ad esempio il sanguinaccio che si prepara solo dopo aver ucciso il maiale o i mastaccioli col vino cotto che si preparano dopo la vendemmia..! 

Altro discorso sono i dolci legati alle feste familiari e religiose, i famosi taralli aviglianesi sono collegati al matrimonio ma anche al periodo pasquale, come anche la pupa e la pizza dolce con la ricotta. che è la versione lucana della pastiera.Sempre in tema di religiosità del popolo lucano per es a Tolve c’è la “cuccia” che altro non è che un misto di cereali bolliti che si offrva (e alcuni ancora lo fanno) nel periodo dei morti... oppure a Ruvo i tagliolini al latte che si mangiavano il giorno dell’Assunta..  In tutta la Basilicata poi si fanno i cauznciedd in una zona con più ceci, in un’altra con più castagne... ma il dolce non può mancare a Natale. 

Ogni famiglia poi tramandava (e a volte tramanda) il proprio modo di cucinare una data pietanza e guai a sgarrare... gustarla e farla assaggiare alle vicine è un gesto che crea convivialità e socialità.”come si fa a Tolve...a Potenza.. e quasi sempre partendo dalla cucina si arriva ad argomenti più seri e ciò crea uno scambio integenerazionale importante 

Quando ero piccola e abitavo a Ruvo andavo spesso nel forno sotto casa dove le donne di varie generazioni impastavano il pane o aspettavano che cuocessero i biscotti... e nel frattempo si scambiavano pareri su argomenti anche seri diciamo “da donne” era una maniera di socializzare di acquisire conoscenze e di svagarsi anche un pò... Legate strettamente alla preparazione del cibo contadino erano le tavolate non frequenti che sottolineavano i giorni festivi, i matrimoni, le semplici domeniche. Si cucinava al meglio e si invitavano gli amici e i parenti, questo contribuiva a cementare le relazioni che erano sempre molto apprezzate e utili. Era durante questi interminabili pranzi che potevano nascere anche degli amori tra i ragazzi di famiglie che si conoscevano oppure si sceglievano i compari di Battesimo e chi veniva scelto non poteva certo rinunciare anche se avrebbe comportato un esborso notevole. Ora non esistono più un retaggio è rimasto solo nei matrimoni... ma niente vieta di riproporle ancche solo durante una scampagnata o una festa.

Un’ altra sezione del libro è dedicata alle conserve. Come un retaggio dei tempi passati le famiglie lucane conservano sott’olio e sott’aceto vari tipi di ortaggi,  peperoni, pomodori, melanzane....ecc oltre le classiche “bottiglie”. In tutti i supermercati si possono trovare i sott’olio ma anche se è  faticoso...pulire gli ortaggi, bollirli nell’aceto , metterli a seccare ecc vuoi mettere mangiare ciò che si è preparato con le proprie mani...magari comprando le materie prime dalla commara...! Da un pò di tempo sono ritornate di moda trasmissioni tv che insegnano quest’arte che i lucani non hanno mai dimenticato. 

Come si è visto  il libro è per prima cosa un atto d’amore per le  donne che in casa hanno trasmesso la passione della cucina agli autori ma penso che chiunque donne e uomini che hanno avuto la fortuna di stare accanto ad una madre\nonna\zia e guardarle fare la pasta in casa,  gli involtini, ecc sarà certamente conquistato dal libro. Concludo con la dedica che gli autori hanno messo all’inizio del libro stesso:

Dedicato ai nostri padri e nonni,

 ma specialmente alle donne della nostra famiglia

che ci hanno trasmesso la passione

e la cultura della preparazione del cibo.

Una forma d’arte equivalente alla musica e alla poesia

che coinvolge e comunica benessere, amore,

fratellanza e forza universale tra i popoli.

 

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